tradimenti
SOTTO LE LUCI DEL CAMPO FEDERICA


10.05.2025 |
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"Allora la presi, con lentezza, con rispetto, ma con tutta la voglia che avevo accumulato in settimane..."
Un racconto di desiderio, segreti e verità taciute.Il sole stava calando, tingendo di arancio il cielo sopra il campo da calcio. I ragazzi correvano avanti e indietro sull’erba ancora umida, rincorrendo il pallone con l’energia che solo i bambini sanno avere. I genitori erano tutti lì, sparsi lungo la recinzione o seduti sulle panche di legno, con i giubbotti semiaperti e lo sguardo ora orgoglioso, ora distratto.
Io ero arrivato in anticipo quel pomeriggio. Ero lì, con le mani in tasca, quando la vidi avvicinarsi per la prima volta.
— “Ciao, sei il papà di Luca?” — mi chiese, sorridendo.
— “Sì… e tu sei la mamma di…?”
— “Di Tommaso. Gioca in difesa, sempre quello con le ginocchia sbucciate.”
Rise piano, con un tono caldo, che sembrava sciogliere l’aria fredda. Si chiamava Federica. Portava un maglione oversize color panna, i capelli raccolti in uno chignon spettinato e uno sguardo che sembrava sapere molto più di quanto dicesse.
Ci sedemmo vicini, come se fosse naturale farlo. I nostri figli si passavano la palla sul campo, senza sapere che qualcosa si stava già accendendo lì a bordo linea. Parlammo di calcio, di allenatori, di merende e compiti. Poi le sue domande si fecero più personali. E le mie risposte pure.
Federica era separata da poco, o almeno così diceva. E anche se io a casa avevo ancora una moglie, la sensazione di vicinanza con lei era troppo forte per negarla. Ogni settimana ci ritrovavamo lì. Le chiacchiere diventavano sguardi, e poi silenzi carichi di tutto quello che ancora non ci dicevamo.
Una sera, con il cielo grigio e i fari accesi sul campo, si avvicinò più del solito.
— “Fa un freddo cane…” — disse. — “Possiamo anche stare in macchina…”
Entrammo nella mia auto. I vetri si appannarono subito. Il silenzio era denso, umido. Lei mi guardò. Io la guardai. Le sue dita cercarono le mie.
Il primo bacio fu lento. Poi, tutto accelerò. Le sue mani si agganciarono al mio collo, le mie le scivolarono sotto il maglione. Pelle calda. Respiro corto. Voglia accumulata. Sospiri trattenuti.
— “Non qui…” sussurrò. Ma non si staccò.
— “Allora dove?”
Prese le chiavi dalla mia mano. — “Seguimi.”
Quella notte, la portai in un motel poco distante. E lì, tra lenzuola anonime e pareti silenziose, ci scoprimmo. Le sue labbra erano miele e fuoco, il suo corpo una mappa che volevo esplorare all’infinito. Ogni gemito, ogni sussurro, ogni movimento era un grido di vita.
La mattina dopo ci salutammo con un bacio rapido e gli occhi ancora accesi.
Ma non fu un caso isolato. Ogni martedì. Ogni giovedì. E a volte anche nel weekend. Bastava uno sguardo al campo, un messaggio: “Ci sei oggi?”
E subito la risposta: “Sempre.”
Ma c’era una verità scomoda. Stavamo tradendo. Entrambi. I nostri compagni. I nostri ruoli. Le nostre famiglie.
Eppure, Federica… lei non era solo un’avventura. Era bellissima. Di quella bellezza che ti scava dentro. Occhi profondi, curve morbide, voce bassa e sensuale, movimenti lenti, calcolati. Camminava tra gli altri genitori come una regina senza corona, e solo io conoscevo il profumo della sua pelle nuda.
Una sera, durante una cena della squadra, ci sedemmo lontani ma ci cercavamo con gli occhi. Lei indossava un vestito nero aderente, scollatura appena accennata, gambe accavallate in modo da sfiorarmi lo sguardo sotto il tavolo. Ogni volta che rideva, io perdevo il filo.
Alla fine della serata, mentre tutti salutavano e i bambini si rincorrevano ancora nel parcheggio, Federica si avvicinò a me con un sorriso che già sapeva di fuoco.
— “Seguimi. Ancora.”
L’appartamento era poco lontano. Entrammo senza parlare. Appena chiusa la porta, le sue mani mi slacciarono la camicia con furia. Io le strappai via il vestito, la baciai ovunque. La sua schiena nuda, la pelle calda, il profumo dei capelli sciolti. La stesi sul tavolo, poi sul divano, poi sul letto.
Facemmo l’amore come se non ci fosse un domani. Come se il mondo fuori fosse un sogno. Come se fosse l’ultima notte sulla Terra.
La stesi sul letto, le baciai ogni curva, ogni centimetro di pelle tesa e vibrante. Federica gemeva piano, controllata, come se volesse nascondere quanto stesse godendo, ma il suo corpo parlava per lei.
Quando si girò e si mise a quattro zampe davanti a me, con quel culo perfetto inarcato verso il cielo, trattenni il fiato. Era una visione. Tonico, pieno, provocante. Una scultura viva.
— “Guardami…” — disse, voltando appena il viso. — “Fammi tua. Completamente.”
Non serviva altro. La presi forte, con le mani sui fianchi, le dita che affondavano nella carne morbida. Lei si lasciava andare, si apriva, si arrendeva. E poi, quasi sussurrando, aggiunse:
— “Stretta… là. Adesso.”
Rimasi un attimo immobile, sorpreso. La guardai. Lei non si voltò. Ma il suo respiro divenne ansioso, il corpo teso in attesa.
Allora la presi, con lentezza, con rispetto, ma con tutta la voglia che avevo accumulato in settimane. Entrai piano, sentendola chiudersi su di me come una morsa viva, calda, palpitante. Lei gemette forte, stavolta senza controllo.
— “Sì… sì… così…” — ansimava.
Il suo magnifico culo si muoveva sotto le mie spinte, accogliendomi sempre più profondamente, mentre la stanza si riempiva del suono carnale dei nostri corpi, delle nostre voglie sfogate senza filtri.
Fu un atto totale, animalesco e perfetto, con il suo bellissimo culo protagonista assoluto.
Quando venni, lo feci dentro di lei, affondando fino in fondo, stringendola per non lasciarla mai più.
Rimanemmo lì, abbracciati, nudi, sudati. Lei appoggiò la testa sul mio petto e mi baciò il collo.
— “Ora non ci si torna più indietro…” — disse, con un sorrisetto complice.
— “Non voglio tornare indietro” — risposi, stringendola più forte.
E in quel momento, sotto le luci fioche della sua stanza, capii che niente sarebbe mai più stato come prima.
FINE
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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